Assalto al Parco

Il nostro Comitato condivide pienamente le considerazioni formulate nel testo che ci è pervenuto e che di seguito abbiamo trascritto. L’autore è un consigliere dell’Ente di Gesione.

Scene d’altri tempi al Consiglio dell’Ente di Gestione delle Aree Protette del Po Piemontese tenutosi
mercoledì 22 febbraio a Casale Monferrato. All’ordine del giorno la discussione delle istanze
presentate da comuni e associazioni, su richiesta della Regione Piemonte, relative ad una revisione
dei confini del Parco e dell’Area Contigua (cioè una zona intorno al Parco in cui la caccia è consentita
ma solo a coloro che risiedono nei comuni inclusi nell’area contigua stessa)
.
Cacciatori e agricoltori, unitamente alla Provincia di Vercelli e ai sindaci di Ronsecco, Saluggia,
Fontanetto Po, Tricerro, Crescentino, Trino e Livorno Ferraris, chiedono, per il territorio vercellese,
l’abolizione delle aree contigue e la riduzione delle Aree Protette
ritornando ai confini del 2020
(prima dell’entrata in vigore della L.R. 11/19 che ha definito alcuni ampliamenti), con conseguente
cancellazione del recentemente istituito Parco Naturale del Bosco della Partecipanza e delle Grange
Vercellesi. L’ATC AL1 e il comune di Moncestino sono sulla stessa linea in riferimento al casalese.
Perché? Perché tutto questo? Per andare a caccia.

Il mondo venatorio, in rivolta dopo gli ampliamenti dei confini entrati in vigore nel gennaio 2021,
spalleggiato da quello agricolo (o, meglio, parte di esso – che inspiegabilmente ancora preferisce
piegarsi alla lobby venatoria piuttosto che sostenere l’implementazione di pratiche davvero efficaci
nel controllo dei cinghiali) e di cui alcune amministrazioni locali si sono fatte portavoce, si propone
ancora una volta come la soluzione del problema cinghiali
e danni alle coltivazioni. Tuttavia, è ormai
ampiamente documentato tramite studi e ricerche che la caccia non è la soluzione.
Gli ultimi decenni
ne sono una evidente testimonianza sotto gli occhi di tutti. Laddove necessari, gli interventi di
controllo faunistico devono essere effettuati con un approccio tecnico e non ludico, devono essere
pianificati, coordinati e continuativi, e, infine, devono avere un basso impatto su altre specie.

Il Consiglio del Parco, seguito da un folto pubblico di cacciatori, agricoltori, vertici delle loro
associazioni di categoria e della Provincia di Vercelli, è stato preceduto da una comunicazione del
Vicepresidente della Regione Piemonte, Carosso
, il quale ha ribadito la volontà della Regione di
ascoltare le richieste del territorio, dettando in maniera affatto velata la linea che il Consiglio del
Parco avrebbe dovuto tenere
per l’espressione del parere sulle richieste di modifica dei confini
pervenute. La drammaticità della situazione è sotto gli occhi di tutti. Il gesto senza precedenti è stato
preceduto nelle ore prima del consiglio da un ultimo assalto, ovvero dall’arrivo di alcune ulteriori
lettere inviate da Provincia di Vercelli, Comune di Livorno Ferraris e alcune associazioni agricole per
ribadire le richieste già espresse.
Alla fine il Consiglio ha accolto le istanze, che verranno trasmesse alla Regione, proponendo altresì
la conversione delle Aree Contigue in Zone Naturali di Salvaguardia per consentire la caccia in tali
aree anche a chi non è residente nei comuni dell’Area Contigua.

È stata scritta una pagina nera nella storia del Parco, chiamato ad esprimersi favorevolmente sulle
richieste di riduzione del proprio territorio, dopo anni di lavoro, svolto con Enti e associazioni, per
giungere all’estensione attuale.

In questo clima passano in secondo piano le buone notizie: i comuni di Mazzè, Pecetto di Valenza e Castelnuovo Scrivia hanno chiesto l’ampiamento del Parco; il Comune di Palazzolo Vercellese e le Associazioni Ambientaliste hanno chiesto il mantenimento dei confini attuali nel territorio vercellese. Anche questo è il territorio da ascoltare.

Le richieste di riduzione sono in contrasto con gli indirizzi dettati dalla strategia dell’UE sulla
biodiversità per il 2030. Ancora una volta si è potuta constatare la miopia di una politica che gestisce il territorio per il proprio “oggi” e non per il “domani” di tutti, trascurando sia gli aspetti tecnici e scientifici sia la voce di molti cittadini ben consci dell’importanza e delle potenzialità delle Aree Protette.

Crediti: l’immagine in alto – scorcio dell’oasi naturalistica di Isola Sant’Antonio (Al) – è tratta da Piemonte Parchi

Le rinnovabili non diventino l’ennesima minaccia all’ambiente naturale: serve un cambio di paradigma

De te in fabula narratur. Ci sono giunti segnali di un rinnovato interesse per l’eventuale realizzazione di impianti eolici di grande taglia sui monti delle Quattro Province.

In attesa che siano meglio definite le intenzioni del nostro governo circa l’individuazione delle aree idonee per installare questo tipo di impianti, abbiamo elaborato un documento ampio e articolatoche può anche costituire una base argomentativa per altre realtà associative, ambientaliste o d’altra natura, presenti sul territorio come pure per tutti coloro che lo abitano e lo frequentano. Naturalmente ci rivolgiamo anche a realtà che stanno fronteggiando le stesse criticità connesse alle politiche energetiche rinnovabili, in particolar modo in area appenninica.

Sono questioni complesse, che non si possono liquidare con semplici slogan, anche perché in gioco vi sono i valori naturalistici e paesaggistici delle aree a più elevato livello di biodiversità del nostro Paese. Anche per questo rivolgiamo l’invito a tutti i nostri concittadini a leggere questo nostro documento contribuendo con riflessioni e analisi a far fronte in maniera informata e consapevole a scelte e decisioni che potrebbero presto interessare nuovamente il nostro Appennino.

A CHE PUNTO SIAMO

Gli obiettivi europei di decarbonizzazione e di sviluppo sostenibile hanno determinato anche nel nostro Paese un enorme impulso alle cosiddette energie rinnovabili, accompagnato da una altrettanto intensa campagna mass-mediatica caratterizzata spesso da messaggi sommari e acritici che di solare e fotovoltaico nascondono ogni aspetto di criticità.

Queste stesse fonti energetiche, infatti, vengono presentate quali sola e imprescindibile scelta per raggiungere gli obiettivi di contrasto al riscaldamento climatico, un fenomeno che il mondo scientifico nella sua quasi unanimità attribuisce all’azione dell’uomo, la cui sempre crescente impronta sulla biosfera ha portato a formulare la nozione di una nuova età geologica denominata Antropocene, la datazione del cui inizio è ancora oggetto di discussione negli ambienti scientifici.

1 . UN LIMITE C’E’

Se è innegabile il ruolo di tali forme di energia (solare, eolico, idroelettrico, geotermico ecc.) nel superamento dell’era del carbonio, è altrettanto difficile pensare che l’obiettivo possa essere raggiunto all’interno dell’attuale modello di crescita e sviluppo indeterminato e progressivo. Questo perché le energie rinnovabili sono “utili ma non miracolose”. Non possono soddisfare una crescita sfrenata e continua come quella che abbiamo conosciuto finora con “l’era degli idrocarburi”. Infatti il nostro modello di sviluppo contravviene (come sottolineato da autorevoli scienziati di varia formazione ed esposto in documenti scientifici già a partire dagli anni settanta del secolo scorso) al secondo principio della termo-dinamica e al concetto di entropia ad esso strettamente correlato, così come teorizzato dall’economista e matematico Nicholas Georgescu-Roegen, (1906 – 1994) e sintetizzato nella frase: “Una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito”.

2. ENERGIE RINNOVABILI REALMENTE “SOSTENIBILI” E “RINNOVABILI” ?

Lo sviluppo sostenibile, termine che ha avuto un grandissimo successo in tutto il mondo, è stato utilizzato come “un’impostura” ossia uno slogan che aveva in sé un’affermazione falsa e fuorviante (vedi Serge Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, Torino 2005). Così come la definizione delle energie solari (fotovoltaico ed eolico in particolare) in quanto rinnovabili e pulite, si scontra con serie difficoltà non appena si abbandoni il terreno delle assillanti campagne di promozione delle stesse, e si consideri invece l’intera filiera produttivo-estrattiva che consente di utilizzare il sole e il vento per soddisfare le esigenze energetiche della società contemporanea. Tali energie infatti dipendono da un’intensa attività estrattiva mineraria, finalizzata in particolare all’ottenimento delle cosiddette terre rare, processo industriale, almeno allo stato attuale, dall’elevatissimo impatto ambientale, come dimostrato ormai da una vasta letteratura e pubblicistica tecnico-scientifica. Pertanto, un discorso obiettivo e onesto (che rispetti il diritto imprescindibile dell’opinione pubblica nel suo insieme ad ottenere una corretta informazione sulle energie rinnovabili) non può occultarne le criticità; sia quelle sopra ricordate, sia quelle collocate, per così dire, a valle e al termine della filiera, che riguardano l’inserimento dei manufatti industriali di produzione di energia eolico-solare (con i relativi ingentissimi danni agli ecosistemi e ai paesaggi naturali e storici), nonché lo smaltimento dei materiali che, data la loro scarsa riciclabilità, già presenta criticità gravissime (secondo la ricerca a cui fa riferimento l’articolo precedente); in particolare sul riciclaggio delle pale eoliche si vedano anche la fonte citata in questo articolo e il servizio che vi ha di recente dedicato l’emittente televisiva francese France 24. Solo tematizzando tali problematiche si potrà con approccio obiettivo porre a confronto l’impatto ambientale di queste fonti energetiche con quelle basate sull’utilizzo degli idrocarburi. Se è vero che, per quanto riguarda l’estrazione mineraria delle terre rare, sembrano profilarsi all’orizzonte soluzioni sostitutive delle stesse e di minor impatto ambientale (si veda anche, poco convincente e chiaramente ideologico quest’altro testo), è altrettanto evidente come tali soluzioni siano ancora ben lontane da un’applicazione reale, per motivi che possono essere variamente definiti.

3. CAMBIO DI PARADIGMA

In questa sede e ai nostri fini non è peraltro di primaria importanza dirimere la disputa tra i sostenitori delle une e delle altre (operazione per altro non facile o pressoché impossibile visti gli enormi interessi economici in gioco a livello planetario). È però fondamentale uscire dalla narrazione retorica, propagandistica, promozionale e manipolatoria che impedisce di raggiungere la necessaria consapevolezza collettiva su pregi e limiti delle fonti energetiche alternative agli idrocarburi, sfatando il pericoloso mito secondo il quale in esse risiede la soluzione assoluta e priva di ogni controindicazione dei problemi di fabbisogno energetico dell’umanità, se non addirittura il superamento di ogni criticità ambientale. Naturalmente tutte queste considerazioni non sono finalizzate a screditare le energie cosiddette rinnovabili in quanto tali, a favore di altre forme di produzione energetica (carbone, gas, petrolio, nucleare), ma a sottolineare come, a monte di ogni considerazione comparativa tra diverse forme di produzione energetica, debba tenersi fermo il concetto , derivante da quanto esposto al punto 2, che nessuna transizione autentica verso una riduzione di emissione di CO2 è possibile senza un radicale mutamento di paradigma nelle scelte umane all’interno della biosfera. Tale mutamento deve fondarsi sul concetto che l’unica energia veramente pulita è quella che non si utilizza, ovvero quella risparmiata. Il che però non può significare solo l’adozione di sistemi di risparmio ed efficientamento energetico (soluzione pure auspicabile in ogni contesto). Questo non sarebbe infatti sufficiente all’interno del paradigma della crescita infinita, giacché quanto eventualmente risparmiato in termini energetici sarebbe vanificato dagli obiettivi di crescita esponenziale perseguiti da tutti i sistemi economici mondiali. Solo la radicale revisione di tali obiettivi di crescita indefinita attraverso un “cambio di paradigma” potrebbe consentire il raggiungimento di obiettivi di armonizzazione della presenza dell’uomo all’interno dell’ecosfera, riducendo drasticamente l’impronta energetica ed ecologica in generale dell’uomo sull’ambiente.

4. LE ALTERNATIVE POSSIBILI

In altri termini, le energie cosiddette rinnovabili, se inserite all’interno dell’attuale dominante modello di sviluppo e di crescita indeterminata, non possono che tradursi in una nuova forma di aggressione estrattivista alle risorse naturali, e di fatto, allo stato attuale, esse si configurano in forme speculative, in strategie che non tengono conto (né sono interessate) a discriminare opportunamente tra possibili applicazioni di minor impatto ambientale rispetto ad altre soluzioni (adottate nella prevalenza dei casi) che invece esercitano il massimo dell’impatto sugli ecosistemi, sull’ambiente naturale e storico-paesaggistico. A titolo di esempio, gli impianti industriali eolici e fotovoltaici (molto inopportunamente denominati “parchi”) vengono installati in aree naturali e agricole, spesso di pregio naturalistico e paesaggistico, senza che venga problematizzato l’enorme impatto che esse determinano in termini di consumo di suolo e alterazione/distruzione di habitat e paesaggi naturali e culturali, né venga posto con il giusto grado di discrimine l’esistenza di una scelta alternativa che invece privilegi le aree già artificializzate, urbane, peri-urbane, industriali e commerciali (tetti di capannoni o strutture artificiali pre-esistenti), sviluppando nel contempo quelle soluzioni tecnologiche che favoriscano tali opzioni, che peraltro già esistono, ma la cui applicazione è come al solito subordinata a considerazioni di interesse lobbistico anziché a finalità di pubblica utilità.

Il cambio di paradigma richiamato al punto 3 appare tanto necessario quanto irrealistico allo stato attuale di consapevolezza e cultura a tutti i livelli della società. Tuttavia, ancorché irrealistico, tale principio va tenuto fermo come presupposto per ogni proposta alternativa di scelta economica, politico e sociale, finalizzata agli obiettivi del contrasto di una crisi globale che non è solo climatica, ma anche ambientale, e concerne la biodiversità nel suo insieme, e la possibilità stessa di una sopravvivenza della specie umana nel mondo, sia dal punto di vista biologico sia da quello culturale. Fermo restando quanto osservato ai punti 1 e 2, le energie cosiddette rinnovabili, ormai imprescindibili nelle strategie energetiche odierne e future (indipendentemente dai diversi pareri scientifici, tecnici e politici, disinteressati o meno, che non rientra negli obiettivi di questo documento analizzare), potranno fornire un contributo all’attenuazione dell’”impronta ecologica” dell’uomo dell’Antropocene sul pianeta solo all’interno di tale mutamento di paradigma.

Tuttavia, non mostrando esso segni di una sua affermazione in un futuro prossimo, occorre, da un punto di vista ambientalista, concentrare le forze per limitare e contrastare le applicazioni speculative e dannose di tali forme di produzione di energia, che, come si è detto, si configurano sempre di più, in tale accezione, come una nuova frontiera dell’aggressione estrattivista alle risorse naturali planetarie.

5. INCOMPATIBILITA’ TRA IMPIANTI INDUSTRIALI E TERRITORI NATURALI ED AGRICOLI

Occorre quindi coniugare il principio esposto al punto 3 (risparmio e efficentamento energetico, riduzione di consumi e sprechi) ad un secondo principio che ribadisca con decisione l’incompatibilità dell’impiantisca eolica e solare all’interno di territori naturali e agricoli (quindi non necessariamente destinati allo sfruttamento agricolo, ma anche le zone incolte, cespugliate, boschive, umide, intese come indispensabili serbatoi di biodiversità e servizi ecosistemici) con i principi stessi ai quali la cosiddetta transizione energetica si ispira, vale a dire la tutela degli habitat, del suolo e della biodiversità nel suo insieme.

L’istanza che richiama l’utilizzo di superfici non agricole per l’installazione di impianti fotovoltaici è per altro sostenuta anche da categorie economiche non certo tacciabili di ambientalismo estremo. (allo stesso link si veda anche la reazione lobbistica di Elettricità futura). L’installazione di pannelli fotovoltaici su tetti di edifici commerciali è per altro misura inclusa nel PNRR. Nella stessa direzione sono orientate le indicazioni contenute nelle linee guida della Commissione europea (Potential impacts of solar, geothermal and oceanenergy on habitats, speciesprotected,under the birds and habitatsdirectives, 2020), dove si afferma esplicitamente che “la migliore misura di conservazione è evitare siti importanti per conservazione di habitat e specie protette dall’unione europea” (…) “non solo siti Rete Natura 2000, ma tutte le aree connesse dal punto di vista della funzionalità ecologica” (p. 17). Nello stesso documento si legge: “Idealmente, i parchi solari si collocano in prossimità di habitat naturali già alterati da infrastrutture (strade asfaltate, ferrovie ecc.) o da edifici (aree urbanizzate)”. Più problematica l’indicazione di utilizzare brownfields, cioè terreni contaminati e a basso livello di biodiversità (ad esempio aree industriali dismesse) o anche aree agricole sfruttate intensivamente con uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi la cui biodiversità – secondo le linee guida in questione – potrebbe essere migliorata con l’installazione di impianti solari realizzati con determinati criteri (p. 17).

Infine, anche nel recente documento prodotto da FAI, Legambiente, WWF Italia si dà una netta indicazione contro il consumo di nuovo suolo per la realizzazione di impianti fotovoltaici, mentre per quanto riguarda l’eolico permangono pesanti ambiguità e manca una decisa presa diposizione contro l’installazione di impianti eolici in aree naturali.

6. EOLICO E FOTOVOLTAICO SU AREE GIA’ ARTIFICIALIZZATE

Per quanto riguarda gli impianti eolici, la Commissione europea ha prodotto nel 2020 un documento specifico, nel quale vengono esposte nel dettaglio criteri e procedure di verifica delle turbine eoliche su specie e habitat, in particolare con riferimento ai siti Rete Natura 2000. Osserviamo che, diversamente da quanto argomentato nel documento precedentemente considerato a proposito dell’ideale utilizzo di aree degradate per l’installazione di impianti fotovoltaici, gli impianti eolici vengono analizzati, come si è detto, per il loro impatto sugli habitat naturali, ma non sembra contemplata, né tanto meno indicata come preferibile, la possibilità di una loro installazione in aree già compromesse dal punto di vista della biodiversità. L’attenzione dei redattori del documento è tutta concentrata sugli impianti composti da pale eoliche di grandi dimensioni e destinati a spazi naturali, mentre non vengono considerate le tecnologie più innovative che consentono applicazioni di macchine per la produzione di energia eolica all’interno di strutture artificiali pre-esistenti (viadotti autostradali e ferroviari, ecc.) o integrate in edifici (cfr il link e il link).

Anche l’AD di Enel,Francesco Starace, in una dichiarazione che ha avuto molta risonanza, ha sostenuto l’inopportunità di installare nuove pale eoliche sul territorio italiano e pannelli solari su aree agricole anziché su tetti di capannoni. A tale proposito si veda anche un altro link dal quale si evince, dai termini dell’accordo tra il Ministro della Cultura Dario Franceschini e il ministro della Transizione, Roberto Cingolani, una certa intenzionalità nell’orientare le scelte di installazione degli impianti industriali eolici e solari in aree non naturali (le cosiddette aree idonee), anche se manca una determinazione chiara nel preservare da tali interventi la totalità dei suoli naturali e agricoli. Il tema dell’installazione del fotovoltaico su edifici civili pubblici e privati (anche nelle zone centrali degli abitati grazie a nuove soluzioni che consentono di rispettare le caratteristiche urbanistiche dei centri storici) è trattato in un articolo che assume a titolo esemplificativo la città di Roma e fa riferimento allo studio riportato a questo link. . Ai succitati riferimenti di tipo scientifico aggiungiamo la segnalazione di alcuni interventi di carattere politico-culturale che vanno nella stessa direzione di incentivazione di forme di utilizzo delle fonti rinnovabili non invasive dal punto di vista ambientale. Particolarmente centrato e ben argomentato ci sembra l’articolo dello storico dell’arte Tomaso Montanari.

In conclusione, non mancano studi dai quali si può desumere come non sia per nulla irrealistico, ma piuttosto necessario e doveroso, orientare l’installazione di impianti di energia rinnovabile (fotovoltaico, ma sempre più anche eolico, con le nuove soluzioni tecnologiche sviluppate e in via di sviluppo) su superfici artificiali già esistenti piuttosto che occupando suolo naturale ed agricolo.

7. TUTELARE FORESTE E BIODIVERSITA’

Un discorso a parte riguarda l’utilizzo di bio-masse legnose. La politica europea, se da una parte include tra i suoi punti, l’incremento delle foreste (obiettivo 15), dall’altra prevede incentivi per l’utilizzo delle bio-masse legnose, anche se in nessun modo è giustificabile la presunta rinnovabilità del legno (ovvero dei boschi e delle foreste) considerata la diversa scala temporale dei processi di combustione del legno e di crescita degli alberi. Secondo un recente studio (Ceccherini G., Duveiller G., Grassi G., Lemoine G. Avitabile V., Pilli R., Cescatti A. ,2020, ,Abrupt increase in harvested forest area over Europe after 2015, Nature, vol. 583, pp. 72–77), il nuovo indirizzo bio-economico della politica comunitaria, finalizzato a raggiungere la neutralità climatica nel 2050, è in stretta correlazione con l’incremento dei tagli nelle foreste, il che non è in contraddizione con l’aumento delle superfici boscate (argomento principe dei sostenitori a diverso titolo di maggiori prelievi legnosi) prese nel loro insieme, ovvero comprendendo nel conteggio, insieme ai cosiddetti boschi alti (ossia quelli formati da alberi alti più di 5 m), anche le superfici boscate a carattere di cespuglieto. In particolare la situazione dell’Italia sembra essere tra le più gravi perché le utilizzazioni forestali dal 2004 al 2018 sono aumentate del 70% circa. Come ben argomentato nello studio sopra riportato, al quale rimandiamo, “i danni, diretti ed indiretti”, prodotti dalla gestione forestale volta alla produzione di biomasse “per l’ambiente forestale, la salute umana e la stessa economia sono enormi”. È pertanto urgente un’inversione di rotta verso una gestione forestale che abbia al suo centro la tutela della foresta in quanto habitat e della complessità dei servizi ecosistemi che offre all’uomo e all’ambiente.

8. A VOLTE RITORNANO

Sembra che per la terza volta si profilino all’orizzonte progetti di impianti eolici che dovrebbero interessare i principali crinali del nostro Appennino. A Pobbio, in val Borbera, qualche proprietario ha ricevuto la proposta di installare un anemometro sui suoi terreni. Intanto, sui monti di Caldirola vola un drone con il dichiarato scopo di compiere rilievi fotografici per la realizzazione di un impianto eolico.

Già nel 2005 e poi ancora nel 2010-2011 i generosi incentivi statali allora concessi ai prezzi dell’energia da fonte eolica stimolarono l’attenzione degli imprenditori del settore nei confronti dei crinali montani delle alte valli Staffora, Curone e Borbera. Furono presentati numerosi progetti per collocarvi decine di aerogeneratori. Nessuno di essi si è concretizzato: i proponenti hanno dovuto prendere atto di una serie di precisi e importanti vincoli: geologici (l’instabilità dei nostri versanti), tecnologici (la distanza dai “nodi” della rete elettrica ad alta tensione) e normativi (non è possibile realizzare simili impianti nei siti Natura 2000 – quale è la ZSC istituita per la dorsale Ebro Chiappo – e il piano paesaggistico regionale esclude che si possa realizzarli sui crinali tutelati dai cosiddetti “Galassini”, un regime di vincolo che interessa sia l’intero tratto compreso tra il Chiappo e il Giarolo sia il versante piemontese dello spartiacque con la valle Staffora).

Negli ultimi anni (mentre l’incentivazione economica all’eolico si è ridotta), l’aggravarsi della crisi climatica ha reso inderogabile l’avvio del processo di “decarbonizzazione” del pianeta. Sono stati fissati sacrosanti obiettivi a livello nazionale, europeo e mondiale. Per conseguirli, il principale strumento è stato individuato nel massiccio ricorso alle energie rinnovabili. I più accorti tra gli studiosi hanno avvertito che, se questo strumento ha un ruolo indiscutibile per giungere a una transizione ecologica, per essere efficace il processo dovrà fondarsi sulla decisa riduzione dell’utilizzo delle risorse naturali accompagnata dalla massima efficienza nel loro impiego. Occorrono urgenti misure in questo senso, ma, nel discorso pubblico, riesce difficile mettere in discussione il dogma di una crescita senza limiti (vedi punto 2), una priorità apparentemente non negoziabile.

La realizzazione di impianti per produrre in forma rinnovabile tutta l’energia necessaria ad alimentare questa crescita è allora raffigurata come un obiettivo da conseguire senza se e senza ma, minimizzando le diverse criticità che ciascuna tecnologia ha in sé (vedi punto 2) e, spesso, muovendo gratuite accuse a chi le segnala. Frutto di questo clima culturale è la revisione del Piano Energetico Ambientale Regionale (PEAR) approvata in Piemonte nel marzo 2022: si è voluto dare un “segnale” inserendo nella programmazione anche la realizzazione di impianti per l’energia eolica, pur ammettendo che si tratterebbe di una produzione ben modesta a fronte del complessivo “bilancio energetico” piemontese. Il PEAR ha individuato alcune aree “vocate” a questo scopo, e i nostri crinali sono una di esse. L’autore del PEAR, constatato che esistono i vincoli normativi di cui ho detto, senza soffermarsi sulle ragioni per cui essi sono stati adottati, ha scritto nero su bianco nel piano che l’auspicio della nostra regione è che siano rimossi. Presto potrebbe accadere: se e in che modo, lo capiremo dal contenuto del provvedimento, in corso di emanazione da parte del governo, che fisserà a livello nazionale i criteri per individuare le aree idonee all’installazione di impianti energetici da fonti rinnovabili. Ecco spiegato il rinnovato attivismo nel nostro territorio degli “sviluppatori” di impianti eolici.

legge sulla caccia: una pessima modifica

Siamo completamente d’accordo con le analisi e i giudizi contenuti nel comunicato delle associazioni piemontesi. Di seguito il testo.

” La Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha approvato, all’alba del 21 dicembre scorso, un emendamento al Disegno di Legge sul bilancio della Stato che rappresenta un clamoroso regalo di Natale al mondo venatorio. La norma, infatti, cancella i cosiddetti “metodi ecologici”, cioè incruenti, che fino ad oggi dovevano prioritariamente essere applicati nel controllo di specie selvatiche che creano problemi alle attività umane. Con la nuova versione della legge, di conseguenza, la prima ed unica opzione risulta essere l’abbattimento. Abbattimenti i quali, ricordiamo, potranno avvenire ovunque, anche in ambiti cittadini ed all’interno di aree protette, e senza alcun vincolo di tempo: quindi anche al di fuori non solo delle tradizionali giornate di caccia, ma addirittura della stagione venatoria.

Con conseguenze sulla sicurezza pubblica e sulla militarizzazione del territorio che non è difficile immaginare.

Ma l’aspetto che maggiormente preoccupa chi ritiene l’ambiente naturale un bene primario e collettivo, la cui salvaguardia deve essere un preciso dovere di ogni amministratore pubblico, riguarda l’art. 19 bis, di nuova istituzione.Viene prevista l’adozione di un non meglio definito Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica, il quale dovrebbe occuparsi di “coordinamento e attuazione dell‘attività di gestione e contenimento numerico della presenza della fauna selvatica sul territorio nazionale mediante abbattimento e cattura.

Di nuovo, senza alcun limite, né di tipo territoriale, né di tempo. Ma nemmeno di specie, per cui è possibile che la norma si possa applicare non solo, come si potrebbe ipotizzare, a cinghiali ed altri ungulati, ma anche a specie protette, quali lupi ed orsi. Le attività di controllo della fauna, infatti, vengono esplicitamente considerate come “non costituenti esercizio di attività venatoria”, quindi nemmeno sottoposte alle regole della caccia.

In un periodo in cui le emergenze ambientali si stanno facendo sempre più reali e il cambiamento climatico comincia a mostrare tutta la sua gravità, ci pare assolutamente inaccettabile adottare misure che concorrono a degradare ulteriormente il contesto ambientale nel quale viviamo e dal quale traiamo tutte le nostre risorse.

Se non modifichiamo i nostri atteggiamenti nei confronti della natura, passando da politiche di rapina e distruzione ad una situazione di equilibrio, continueremo il nostro tranquillo avvicinamento alla distruzione dell’unico pianeta sul qualesiamo in grado di vivere.

Le scriventi Gruppi Politici e Associazioni contestano anche con forza il metodo adottato per far approvare le norme “libera caccia”: all’interno di una legge di bilancio, con la quale nulla hanno a che vedere, ma la cui approvazione risulta così molto più semplificata. Quindi, nessun confronto, nessun parere di quel mondo scientifico che pure non si esita a evocare ogni qualvolta succede qualche disastro ambientale, salvo dimenticare ciò che viene affermato inattesa dell’evento successivo.

Le Associazioni chiedono quindi con forza che il provvedimento venga ritirato e si riservano, in caso contrario, di adottare tutte le misure, anche legali, ritenute utili per evitare questa ulteriore concessione alle istanze dei settori più retrogradi del mondo venatorio.”.

Federazione Regionale di Europa Verde Verdi del Piemonte – Federazione Nazionale Pro Natura – Lega Ambiente Piemonte – LIPU – OdV Asti – OIPA ITALIA – OdV SOS Gaia – Quattropassianordovest – Comitato per la salvaguardia del Lago di Arignano

Foto e filmati dalla seconda edizione di Natura d’Appennino

Domenica 21 agosto, presso il Rifugio delle 4 Province di Capanne di Cosola: una giornata caratterizzata da una ampia e attenta partecipazione di numerose persone sia all’escursione mattutina sui crinali sia agli interventi degli esperti naturalisti. Di seguito alcune foto

QUI il link alla playlist che include il resoconto filmato di alcuni degli interventi scientifici.

Natura d’appennino – domenica 21 agosto

Domenica 21 agosto, Rifugio delle 4 Province – colonia Capanne di Cosola. Una giornata di confronto e divulgazione sulla natura e la biodiversità dell’Appennino settentrionale. La crisi ambientale e climatica sempre piu’drammatica deve essere affrontata in primo luogo difendendo, conservando e aumentando gli ambienti naturali e la loro biodiversita. L’Appennino e’ uno dei territori piu’ricchi di valore naturalistico. Suolo, flora, fauna, acque: scopriamone insieme la bellezza e l’importanza.

PSA: i sindaci si pronuncino sulle restrizioni alla frequentazione di luoghi naturali

LETTERA APERTA inviata ai Sindaci dei comuni di Cabella Ligure, Carrega Ligure, Mongiardino, Roccaforte Ligure, Rocchetta Ligure, Albera Ligure, Cantalupo Ligure, Borghetto di Borbera, Vignole Borbera, Grondona e, per conoscenza ai sindaci dei comuni di Fabbrica Curone, Gremiasco, Montacuto, San Sebastiano Curone, Brignano Frascata, Momperone, Casasco, Montemarzino, Monleale, Volpedo, Garbagna, Avolasca, Cerreto Grue, Montegioco.

L’ordinanza firmata nello scorso mese di gennaio dal ministro della Salute Roberto Speranza e da quello delle Politiche Agricole e Forestali Roberto Patuanelli per fronteggiare l’epidemia di peste suina che ha colpito i nostri territori prevede il divieto, per una durata di sei mesi, di numerose attivita’ suscettibili di creare una interazione diretta e indiretta con i cinghiali infetti.

Si avvicina la stagione durante la quale si ha la maggior frequentazione dei nostri sentieri, ed appare sempre più evidente la gravità di una simile restrizione, nella misura in cui comprende l’escursionismo, il trekking, le attività outdoor in generale: da una parte, essa ha scarsa rilevanza agli effetti di contenimento della PSA, dall’altra, al contrario, gli effetti che ne derivano sono estremamente pesanti in termini di ricadute negative sull’economia locale.

Ricordiamoci che la nostra valle, la val Borbera, si sta avviando a diventare un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati di escursionismo e trekking a vari livelli, grazie a iniziative che hanno visto l’impegno di tante persone: dal “Cammino dei ribelli” (percorso da oltre 300 camminatori    in un anno), alla rassegna “Una valle in cammino” (svolta la scorsa estate con grande successo, è ora in preparazione la seconda edizione), alla fitta rete sentieristica curata dal CAI, alla “Via del mare” che dallo spartiacque tra Curone e Staffora prosegue lungo i crinali valborberini, alle iniziative promosse da realtà quali Borberambiente e l’Ente Aree Protette dell’Appennino Piemontese, alle escursioni sui Sentieri della Libertà, a molte altre iniziative locali che offrono a tante persone l’opportunità di vivere a contatto con la natura, esigenza oggi ancor più sentita dopo il drammatico periodo della pandemia.

Considerazioni analoghe valgono anche per le valli Curone e Grue, e per le iniziative che in esse si sono sviluppate (dai “Cammini” storici, come il “Cammino di San Michele”, agli itinerari a tema). Perciò questa lettera è indirizzata anche agli amministratori della valli vicine.
Ai divieti in quanto tali si sta aggiungendo una comunicazione massmediatica e/o istituzionale spesso disattenta, che rischia di danneggiare l’immagine del territorio nel suo insieme (ci riferiamo ad esempio a cartelli apposti recentemente in vari comuni nei quali non ci si cura di specificare che la peste suina non presenta alcun rischio per l’uomo).

Lo abbiamo già detto prima d’ora a chiare lettere e in modo propositivo: il mondo collegato all’escursionismo è disposto ad adottare tutte le misure che possano scongiurare l’eventuale possibilità di farsi vettori del virus, ma non possiamo accettare una proibizione così drastica, applicata senza tener conto di quanto sopra affermato.

Avvertiamo l’esigenza di una forte presa di parola, in tempi brevi e in modi netti, da parte delle istituzioni locali più vicine ai territori: chiediamo perciò ai Sindaci di farsi latori delle nostre istanze e del grave disagio che abitanti, frequentatori e operatori turistici, culturali, economici stanno subendo, disagio che presto si potrebbe tradurre in serio danno economico che andrebbe ad aggiungersi agli effetti dei lockdown pandemici di cui si è avuta recente esperienza.

La nostra richiesta ai rappresentanti più diretti delle comunità locali è di agire al più presto, facendo pressione e sollecitando i decisori per ottenere che le restrizioni di cui abbiamo detto subiscano le modifiche necessarie a consentire – nel rigoroso rispetto di tutte quelle precauzioni e cautele che si riterrà opportuno indicare – un ritorno quanto prima alla libera fruizione del territorio naturale.

Comitato per il territorio delle Quattro ProvinceBorberambienteIl cammino dei ribelliAssociazione Albergatori e Ristoratori Val Borbera e Valle Spinti

Divieto di frequentazione dei boschi e dei sentieri a causa della peste suina: un provvedimento inaccettabile.

Lo scorso 13 gennaio il ministro della Salute e il ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, nell’ambito delle misure disposte per contrastare la diffusione della peste suina africana che ha colpito diversi esemplari di cinghiali, hanno individuato con una ordinanza una zona che, oltre a diversi comuni della Liguria, comprende 78 comuni del basso Piemonte (tra di essi i territori della val Borbera e della val Curone, della val Lemme e dell’Alto Monferrato Ovadese), zona nella quale, per una durata di sei mesi, è stato stabilito un divieto assoluto non solo per l’attività venatoria, ma anche per “la raccolta dei funghi e dei tartufi, la pesca, il trekking, il mountain biking e le altre attività che, prevedendo l’interazione diretta o indiretta con i cinghiali infetti o potenzialmente infetti, comportino un rischio per la diffusione della malattia. “.

Andare nei boschi e frequentare la natura per gli esseri umani è di vitale importanza. Non si parla di “sola” ricreazione, soprattutto in questo momento storico caratterizzato da restrizioni e obblighi che già gravano in maniera importante sulle nostre vite. E, per quanto riguarda l’attività di escursionismo, in aggiunta all’ingente danno per gli operatori dei settori interessati dalle attività all’aperto, l’ordinanza impedisce del tutto, e per un periodo di tempo lunghissimo, la fruizione degli ambienti naturali ad una intera popolazione che, specie in questi tempi di pandemia e restrizione, trova proprio nella frequentazione dell’ambiente naturale non solo il giusto sfogo ai disagi psico-fisci, ma anche un efficace modo per salvaguardarsi  dalla forte contagiosità della nuova variante Covid. Molte persone che vengono da fuori, soprattutto nei weekend, scelgono la Val Borbera e le valli appenniniche come destinazione ideale proprio perché sanno di poter trovare un territorio di pace e tranquillità, di autenticità, di elevata naturalità, utile anche per ritrovare benessere ed equilibrio. 

Ricordiamo che la peste suina non è dannosa né per l’uomo né per altri animali domestici o selvatici. La criticità di questa forma epidemica non è dunque prioritariamente legata, come nel caso del Covid, a motivi di salute pubblica (il che potrebbe in qualche misura giustificare un approccio simile a quello di cui parliamo): deriva piuttosto dal rischio che il propagarsi della malattia comprometta in modo grave una importante filiera economica (con tutte le implicazioni in termini occupazionali ecc.), quella suinicola. Interessi sicuramente da tutelare ma intervenendo prioritariamente sulla popolazione di cinghiali  (unica al momento ad essere infetta nonché certo veicolo), sulla prevenzione e controllo negli allevamenti domestici e nella filiera, per impedire che il virus si diffonda in questi ambiti.

Chi cammina o va in bici lo fa seguendo sentieri prestabiliti, non gira nei boschi senza un criterio. La possibilità che questa forma di presenza umana determini l’allontanamento o lo spostamento di gruppi di animali selvatici (elevatissima invece nella pratica venatoria della braccata) è quindi piuttosto remota. La frequentazione umana degli ambienti naturali è una parte minoritaria del problema rispetto alla veicolazione dovuta ad altre specie selvatiche (anche le zecche possono trasmettere il virus) e il blocco nei modi previsti dall’ordinanza ministeriale avrebbe dunque effetti ben poco rilevanti sulla salvaguardia degli interessi della filiera dell’allevamento suino. Per contro, la chiusura delle attività di tipo escursionistico avrebbe conseguenze estremamente gravi, se non fatali, per un’altra filiera economica (non paragonabile forse dal punto di vista del giro di affari, ma di vitale importanza per i territori interni). Nei nostri territori appenninici, intere economie vivono in gran parte grazie alla pratica dell’escursionismo e del trekking, e sono già in estrema difficoltà a causa del Covid.

Considerato tutto ciò, l’interdizione disposta nei modi perentori ed assoluti espressi dall’ordinanza non è accettabile, e deve essere urgentemente rimodulata. Si adottino tutte le misure precauzionali necessarie (sanificazione delle suole, evitare di uscire dai sentieri segnati per non trovarsi in trottoi o insogli ecc.), ma non si vietino boschi e sentieri, la frequentazione dei quali da parte degli escursionisti potrebbe per altro contribuire ad arginare il fenomeno con la segnalazione tempestiva al personale addetto dell’eventuale presenza di carcasse.

Cammino dei Ribelli – ComitatoTerritorio Quattro Province -Paradiso Val Borbera   

ANPI Valborbera Sezione Pinan – Associazione Albergatori e Ristoratori Val Borbera e Valle Spinti – Associazione Culturale Roba de Streije – Associazione Fondiaria Terre del Bossola – Associazione Il paese degli spaventapasseri di Vendersi – Associazione Ricreativa Culturale Cosola – BorberAmbiente – Boscopiano – Circolo Acli di Rocchetta Ligure – Circolo Acli di Vigo – Comitato Spontaneo di Bosio – Consorzio Miglioramento pascoli Cosola – Oro in Natura – Progetto Ambiente – Pro Loco Albera Ligure – Pro Loco Cabella Ligure – Pro Loco Cosola – Pro Loco Persi – Pro Loco Roccaforte Ligure – Pro Loco Rocchetta Ligure – Pro Loco Mongiardino Ligure -La Strada del Sale (Mercato biologico di Volpedo) – Valborbera NaturalMente

ISDE: riflessioni e richieste da SentieriVivi 4P, coordinamento delle associazioni operanti sul territorio

immagine tratta dalla guida “Nelle Terre del Drago – Vie escursionistiche tra Appennino e Monferrato” realizzata dalla provincia di Alessandria

SentieriVivi 4p: è il coordinamento creato tra numerose realtà che operano sul territorio per promuovere e difendere la pratica dell’escursionismo lento e consapevole in Oltrepò e nelle valli tortonesi delle Quattro Province. Qui le richieste e le riflessioni sull’ISDE 2021, la manifestazione motoristica che interessa il nostro comprensorio montano.

Svolgere svolte con rigore, trasparenza e partecipazione le valutazioni ambientali di piani e progetti: la richiesta di 200 associazioni nazionali e locali

Anche il nostro Comitato fa parte delle 200 associazioni nazionali e locali che hanno inviato una lettera aperta a Governo, Parlamento e Commissione Europea su grandi opere e Valutazione di Impatto Ambientale.
La tutela di salute, clima, biodiversità e paesaggio passi per valutazioni ambientali di piani e progetti svolte con rigore, trasparenza e partecipazione: ecco le nostre proposte.
Da Friday For Future al Forum dell’Acqua, da Italia Nostra a centinaia di comitati locali: Ministero dell’Ambiente gravemente inadempiente sulle norme europee, serve immediato stop a progetti fatti male dopo ammissioni del presidente della Commissione V.I.A. nazionale. Continua a leggere “Svolgere svolte con rigore, trasparenza e partecipazione le valutazioni ambientali di piani e progetti: la richiesta di 200 associazioni nazionali e locali”